Paternità del libro di Daniele

Relazione del professore Edward Joseph Young in difesa della paternità del libro di Daniele.

Il libro di Daniele si trova ancora una volta in prima linea come punto di contesa tra coloro che considerano la bibbia l’innerante parola di Dio e coloro che hanno una veduta più liberale delle scritture oppure non credono affatto che la bibbia è la parola di Dio.

Ora, nel leggere il Libro di Daniele, è inevitabile avere l’impressione che la figura predominante di questo libro sia Daniele stesso, che lui sia un personaggio storico, che lui si sia trovato realmente alla corte di Nabucodonosor, e successivamente di Baldassare, e che sia stato Daniele stesso a scrivere quanto gli viene attribuito.

Abbiamo buon motivo per credere che Daniele sia stato l’autore di questo libro, che non è stato scritto ai suoi giorni per mano di un altro. Si può credere che Daniele stesso scrisse poiché Gesù dice, ‘Quando vedrete l’abominazione della desolazione di cui parlò Daniele il profeta’. Dunque quelle parole sono state scritte da Daniele.

Bisogna considerare che il Libro di Daniele presenta un unità tale che, se è stato Daniele stesso a scrivere quelle parole, che si trovano al capitolo nove di Daniele, con un successivo riferimento al capitolo undici, se Daniele scrisse quelle parole allora è suo anche il resto a causa dell’unità del libro, una questione che approfondiremo meglio a breve.

Dunque, la chiesa cristiana ha sempre sostenuto che Daniele è stato l’autore di questo libro. Tuttavia, è stata proposta una teoria alternativa che negava a Daniele la paternità del testo, e questa teoria alternativa è molto antica. Risale al terzo secolo della nostra era, quando un uomo di nome Porfirio nato a Tiro in Palestina, e allievo di Plotino ad Atene, scrisse 15 libri da lui intitolati, ‘Contro i cristiani’ (Κατὰ Χριστιανῶν). Tutti questi libri sono perduti con l’unica eccezione di una parte del dodicesimo libro, un commentario al libro di Daniele. Questa porzione è conservata nel commentario su Daniele di Girolamo. Ebbene, in questo commentario Porfirio afferma che il libro non è opera di Daniele stesso, poiché Daniele non avrebbe potuto conoscere il futuro.

Bisogna sapere che Porfirio era nemico del cristianesimo, e Porfirio non credeva nella profezia predittiva, dunque afferma apertamente che Daniele non avrebbe potuto conoscere il futuro. Anche qui, provo nei confronti di Porfirio lo stesso sentimento che provo verso Wellhausen, lui non tentò di velare le cose affermando che questo ci portava a una più profonda rivelazione di Dio o cose di questo genere, semplicemente affermò apertamente che Daniele non poteva conoscere il futuro. Rinnegava dunque l’esistenza della profezia predittiva. Se un uomo sceglie di negare la profezia predittiva, ha il diritto di farlo. Chiedo soltanto che egli sia trasparente riguardo la sua posizione, e Porfirio è stato trasparente. Daniele non avrebbe potuto conoscere il futuro e, per questo motivo, egli negò a Daniele la paternità del libro.

Trovo che la sua è stata una posizione molto netta, questo ci permette di entrare nei meriti della questione e discuterne. Per di più, Porfirio continua affermando che l’autore di Daniele era un ebreo del secondo secolo avanti Cristo, e che quando usò il nome di Daniele agì da falsario, cioè mentì. Il termine latino usato da Girolamo per questa affermazione è ‘mentiri’ che significa mentire, ed è questa la valutazione di Porfirio per l’azione che avrebbe commesso questo ebreo sconosciuto del secondo secolo a.C.

Vi chiedo di esaminare con cura le ramificazioni di questa affermazione. Ci viene detto, come ho già spiegato stamattina, che la questione della paternità era di poco conto per l’epoca biblica e per l’antichità. Oggi un uomo scrive un libro e vi applica un copyright per garantire che il suo nome accompagnerà il testo e che nessun altro userà il materiale senza ricevere prima un autorizzazione. Ho un mio parere per quanto riguarda questa procedura, ma ad ogni modo, è così che vanno le cose oggi.

Ci dicono, però, che le cose non sono sempre state così. Pare che gli antichi non avrebbero dato molto peso a quale nome veniva applicato a un libro, scrivevano e per dare maggiore autorità al testo vi applicavano il nome di qualcun altro. Questo ragionamento viene usato per dimostrare, per esempio, che Isaia non scrisse realmente il Libro di Isaia, il nome era in effetti privo di significato, e Daniele non avrebbe scritto Daniele, importava poco quale nome si applicava a un libro, e quindi gli autori di Deuteronomio avrebbero usato il nome di Mosè; ma questa era semplicemente un usanza della loro epoca, non ci sarebbe nulla di sbagliato. Bene questa è la superficiale argomentazione promossa oggi con l’intento di screditare l’autorità della bibbia. Ma esaminiamo un attimo la cosa è vediamo se ha valore.

Possiamo citare a nostro favore Porfirio, dopotutto Porfirio è uno di questi antichi, e secondo Porfirio era di grande importanza la paternità di Daniele, dal momento che Porfirio dice che questo autore, che avrebbe usato il nome di Daniele, era stato un bugiardo. Mi pare evidente che Porfirio attribuiva alla paternità lo stesso significato che tu ed io applicheremo oggi. Secondo Porfirio questo presunto autore non avrebbe dovuto usare il nome di Daniele, farlo era semplice disonestà. Trovo che questa è una valida confutazione dell’idea che la paternità di un testo era di poco conto per gli antichi.

Dovremmo sapere che certi Greci furono puniti piuttosto severamente per avere inserito delle frasi nei comizi che recitavano, avevano improvvisato, per così dire. Uno di loro ricevette una multa piuttosto salata mentre l’altro è stato bandito per quanto aveva fatto. Ciò sembrerebbe indicare che per gli antichi era abbastanza importante sapere chi aveva scritto un libro, chi affermava di averlo scritto. Vero è che in un brano, Giamblico credo che fosse, si complimentò con certi discepoli perché avevano scritto a nome di qualcun altro, a nome del loro maestro Pitagora, credo.
Ma proprio i fatto che egli si complimentò con loro dimostra che questa non era l’usanza comune, se le così andavano sempre così allora non ci sarebbe stato motivo per complimentarsi con loro. Esiste poi l’appello ai testi pseudepigrafi, libri come Enoch e così via. Sappiamo che, come minimo, il terzo libro di Enoch è stato scritto da un tale rabbino, non credo ci fosse qualcuno che credeva che quelle fossero veramente le parole di Enoch, erano semplicemente state attribuite a lui come tecnica letteraria, ma questo testo non era considerato parola di Dio, ed è proprio quello il punto. Chiunque sia stato l’autore di questi testi in realtà non usò uno pseudonimo ma semplicemente riportava le parole di Enoch e così via.

Credo che questo rappresenta quanto uno potrebbe dire per sostenere che la paternità non aveva importanza all’epoca. Paolo, vi ricorderete, dice ‘Vedete con che grossi caratteri vi scrivo, di mia mano.’ La paternità era importante per Paolo e Paolo applicava il suo nome a tutte le sue epistole. Credo sia estremamente difficile sostenere che la paternità non aveva importanza nell’antichità e che non sarebbe stato un plagio scrivere un libro applicandovi il nome di qualcun altro. Dopotutto, una cosa è sbagliata intrinsecamente, e se è sbagliato farlo oggi, allora è sempre stato sbagliato.

Certo non sarebbe sbagliato usare uno pseudonimo per scrivere un romanzo, come credo fece George Elliot, non ha grande importanza perché non stai ingannando nessuno, stai scrivendo come forma di intrattenimento, è una cosa innocua e non inganna nessuno. Ma se scrivi un libro e lo definisci Parola di Dio, un libro che ha autorità religiosa, e lo fai usando il nome di qualcun altro per attribuirgli più autorità è tutta un altra storia, è una cosa disonesta. E se un ebreo sconosciuto del secondo secolo avesse usato il nome di Daniele per accrescere l’autorità del suo libro, allora a prescindere dal parere delle persone di quel epoca, avrebbe fatto una cosa disonesta. Porfirio avrebbe ragione: avrebbe mentito, avrebbe fatto una cosa disonesta. Ed è questa la debolezza fondamentale della prospettiva critica del libro di Daniele. Non vedo come si possa evitare questa conclusione. La prospettiva critica presuppone un atto di falsità, è questo il suo fondamento, e credo che dobbiamo ricordare che, se questa prospettiva fosse corretta, allora quando Gesù Cristo disse, ‘Quando dunque vedrete l’abominazione della desolazione, della quale ha parlato il profeta Daniele,’ commise un errore, è questa la conseguenza logica, non c’è scampo.

Ed è per questo che la questione è importante. Bene, dai giorni di Porfirio, è cresciuta questa tesi, che il libro di Daniele sia stato scritto nel secondo secolo avanti Cristo e con uno scopo ben preciso. In quei tempi, come ricordiamo, l’impero Greco era stato diviso in seguito alla morte di Alessandro Magno. Per un tempo, l’impero passo ai suoi figli, successivamente fu spartito tra i suoi quattro generali. Due di questi sono di particolare interesse per noi: Tolomeo che governava l’Egitto e Seleuco che governava la Siria. La dinastia in Siria è detta Seleucide mentre quella in Egitto è definita Tolemaica e le due si sono scontrate in numerose guerre per tutto il tempo. Il capitolo undici di Daniele rappresenta alcune di queste guerre.

Ora uno dei Seleucidi era un usurpatore di nome Antioco Epifane. Questo è il nome che diede a se stesso. Epifane significa ‘l’illustre’. Le persone lo chiamavano Antioco Epimanes, che significa ‘Antioco il pazzo’, e questa direi era una descrizione migliore, tuttavia Antioco Epifane era un tipo dell’anticristo secondo il libro di Daniele. Egli entro di sabato nel tempio a Gerusalemme e lo profano, e da quel giorno in poi cercava di costringere gli ebrei ad abbandonare le loro usanze e vivere come i greci. Questo è stato uno dei giorni più cupi nella storia del popolo di Dio, ed è a causa della grande precisione con cui il capitolo undici di Daniele descrive queste cose che gli uomini dicono che deve essere stato scritto da un contemporaneo.

Ma nascono dei problemi per chi prende questa posizione. Prima di tutto, il capitolo undici di Daniele termina in modo strano se applichiamo tutto ad Antioco. La risposta, credo, sta nel fatto che il capitolo undici di Daniele si estende ben oltre i giorni di Antioco e parla dell’anticristo.

Ma esiste una forte obiezione contro il dire che è stato scritto da un contemporaneo ed è questa: l’intero capitolo è scritto al futuro. Tutti questi eventi sono descritti come se non si fossero ancora avverati, piuttosto dovranno avverarsi in futuro. Segue che, se è stato un contemporaneo a scrivere tutto questo materiale, l’autore a scritto in modo tale da far credere che queste cose si devono avverare in un futuro distante. In altre parole, ha scritto con inganno, creando l’impressione che questi non sono eventi contemporanei ma eventi futuri. Questa è una forte obiezione contro il dire che queste parole sono state scritte da un autore contemporaneo con gli eventi.

Certo uno potrebbe rispondere così: Quello che dici è vero ma basta semplicemente togliere questo capitolo dal libro di Daniele. Siamo disposti a credere che Daniele è stato l’autore di tutto il resto, ma questo brano in particolare, anche se presenta degli eventi come se fossero futuri, è talmente preciso, corrisponde talmente bene ai fatti che lo elimineremo dal libro di Daniele perché deve essere stato scritto per mano di una persona contemporanea, o quasi contemporanea, con gli eventi ed è stato successivamente inserito nel libro di Daniele. Bene, credo che questa è una soluzione piuttosto disperata. Sapete, quando le persone spiegano un fenomeno biblico in modo diverso dalla spiegazione fornita dalla bibbia stessa, si nota spesso un tono di disperazione nella loro proposta, e sospetto che qui ci troviamo di fonte a una cosa del genere. Con questo raggiro uno non scampa al problema, questo testo è comunque stato scritto come se riguardasse un evento futuro. Il dilemma morale rimane e ora si è creato un secondo problema perché il capitolo undici è una parte integrante del libro di Daniele, lo stile corrisponde benissimo, non si può semplicemente escludere, è non abbiamo nessuna evidenza nei manoscritti per dire che questo testo è stato inserito in un secondo momento.

Ripeto, questo è un tentativo disperato di schivare il dilemma, e non credo che presenta una soluzione al dilemma, semplicemente genera altre difficoltà. Ed è così che vanno in genere le cose quando uno cerca una spiegazione per la bibbia che devia dalla spiegazione fornita nella bibbia stessa. Dunque ecco come stanno le cose, ci dicono che il libro di Daniele è stato scritto mentre Antioco Epifane sedeva sul trono. Ora, come vi ho detto, Antioco perseguitava gli ebrei e le cose si sono messe così male che Giuda Maccabeo guidò una rivolta contro di lui. Bene, la posizione critica e che il libro di Daniele è stato scritto in quest’epoca con lo scopo di fomentare una rivolta tra gli ebrei contro il dominio Seleucide. Il libro presenterebbe dunque Daniele e il suo atteggiamento eroico nella corte di Nabucodonosor, un uomo che dovremmo imitare. Nabucodonosor sarebbe dunque una sorta di Antioco Epifane contro il quale si rivolta Daniele. Sarebbe stato dunque questo il ragionamento usato per incitare gli ebrei alla rivolta. Ed è questo, ci dicono, lo scopo del libro di Daniele. Questa, credo, è la posizione critica, almeno è quella più ampiamente diffusa dalla critica, dire che il libro è stato prodotto nel secondo secolo avanti Cristo e che il suo obbiettivo sarebbe stato quello di incitare gli ebrei in una rivolta contro i greci seguendo l’esempio di Daniele.

Ma ci sono delle obiezione da fare a questa posizione. Anzitutto, non mi è affatto chiaro perché avrebbero visto in Daniele un esempio. C’è una cosa che dovremmo ricordare: Daniele non è stato un ribelle dal punto di vista politico. Daniele non incitava alla rivolta contro Nabucodonosor. Non è stato affatto questo il suo comportamento! Daniele non disse, ‘Tu Nabucodonosor sei un re malvagio e noi metteremo un altro sul trono al posto tuo.’ Non era questo il ruolo di Daniele. Daniele era determinato nel dimostrare che il Dio d’Israele era il vero Dio, e che gli dei babilonesi erano degli idoli. Era questo l’operato di Daniele. Daniele era impegnato in una lotta religiosa, e credo che sta ad esempio per ogni ministro di Gesù.

Noi erriamo quando confondiamo la lotta politica con la predicazione del Vangelo. Credo che Dio si usa molto di più di noi quando ci atteniamo alla predicazione del Vangelo e non impegniamo tutta la nostra vita all’attività politica. Non sto dicendo che il singolo cristiano non deve dedicare tempo all’attività politica, dovrebbe farlo, ma credo che i ministri sono grandemente tentati a confondere l’attività politica con la predicazione del Vangelo; e Daniele non fece questo. Allora chiederei, perché si sarebbero appellati a Daniele? Se uno vuole rovesciare il governo dei greci, perché appellarsi a Daniele? Daniele non incitava alla rivolta in alcun modo. Questo, vedete, è un difetto fondamentale dell’intero ragionamento critico. Se l’intenzione di questi antichi era usare Daniele, non hanno scelto un gran candidato perché Daniele non era interessato a queste cose: l’interesse di Daniele era la fedeltà verso Dio, ed è una cosa ben diversa. Un altro momento imbarazzante per la critica è stata la scoperta dei rotoli del Mar Morto.

Sono stati trovati vari frammenti del libro di Daniele e, come sapete, il libro di Daniele è scritto in due lingue: ebraico e aramaico. Al capitolo 2, versetto 4, c’è uno stacco, essi risposero al re e poi vediamo la parola ‘arami’. Il senso è probabilmente che quello che segue è scritto in aramaico e non che la loro risposta è stata data in aramaico. Da questo punto in poi fino alla fine del capitolo sette tutto il libro è scritto in aramaico. Ora in questi frammenti di Daniele abbiamo il brano del capitolo 2 dove avviene questo passaggio dal ebraico all’aramaico e questi frammenti sono datati al tardo secondo secolo avanti Cristo. Quasi 50 anni dopo la data in cui la critica ci dice che è stato scritto il libro. Ora questa sarebbe una data abbastanza vicina all’originale ed è comprensibile che certe persone cercano di sostenere una data meno antica per questi frammenti. Ma se la data della critica è corretta allora questo sarebbe il manoscritto più vicino al autografo di qualsiasi testo della scrittura, e credo che questo merita la nostra attenzione.

Quanto sarebbe probabile una così rapida diffusione del libro? Ricordiamo che non esisteva la stampa. Credo che questo fatto merita attenzione; l’esistenza dei rotoli del mar morto e la data meno antica attribuita al libro di Daniele.

E’ emerso anche un altro fatto per cui non c’è alcun dubbio che una parte del libro di Daniele e molto più antica dell’epoca di Antioco Epifane e del secondo secolo avanti Cristo. Gustav Herschler(Hirschler?), un critico tedesco, è stato il primo a evidenziare il fatto che gran parte del materiale che troviamo nel libro di Daniele è molto più antico del secondo secolo avanti Cristo.

Dunque, non è più sostenibile dire che il libro di Daniele è semplicemente stato scritto per incitare il popolo alla rivolta contro la dinastia Seleucide. Ma allora quale sarebbe stato lo scopo del libro di Daniele? Personalmente, credo che la critica si trova qui in imbarazzo. Quale sarebbe stato lo scopo del libro di Daniele? Potremmo sempre rifarci a un vecchio amico, la parola ‘mito’. Queste storie sarebbero circolate riguardo un individuo di nome Daniele, sarebbero poi state raccolte nel secondo secolo a.C. e potremmo quindi sostenere una paternità nel secondo secolo anche se molto del materiale è ben più antico, e il libro avrebbe dunque sempre lo stesso scopo. Ma se sostieni questa posizione restano le stesso obiezioni che ho presentato poco fa. Passiamo ora a vedere il libro stesso e alcuni dei cosiddetti problemi che riscontriamo nel libro.

Uno di questi riguarda la lingua, l’uso dell’aramaico. L’aramaico di Daniele, ci dicono, appartiene a quello che è definito il reichsaramäisch, l’aramaico del regno, ovvero la forma usata dal quinto secolo a.C. in poi, e la data più probabile per l’aramaico di Daniele sarebbe il terzo secolo avanti Cristo. Un modo o l’altro, sarebbe una forma troppo tarda per essere stata usata da Daniele stesso. Permettetemi di illustrate una o due delle evidenze fornite a questo proposito, le parole scritte con una ‘z’ sono dette antiche. Con il passare del tempo la ‘z’ sarebbe stata sostituita da una ‘d’, è questo il ragionamento. In realtà entrambe rappresentano un altra consonante che non era inclusa nell’alfabeto aramaico, e anche in testi antichi come il testo di Ras Shamra del 1450 a.C. queste stesse parole le troviamo scritte con una ‘d’ piuttosto che una ‘z’. Senza entrare nei dettagli, sto dicendo che lo stesso fenomeno filologico riscontrato in Daniele è presente in questi testi più antichi, i testi di Ras Shamra.

Trovo che questo sia un fatto di grande interesse. Inoltre, ci dicono che una altro cambiamento ortografico si riscontra nell’aramaico meno antico. Con il passare del tempo la ‘k’ veniva rappresentata sempre più spesso dalla consonante ‘ian’, che noi pronunciamo erratamente ‘a’; la parola terra per esempio si pronunciava anticamente ‘ar’ka’ e successivamente ‘ar’a’. In un versetto del libro di Geremia che è scritto in aramaico troviamo entrambe le forme, ed è a questo punto che sarebbe avvenuto il passaggio dalla forma antica alla forma meno antica. Bene, in Daniele troviamo sempre scritto ‘ar’a’, ma di recente si è scoperto che durante l’epoca di Dario il Grande, pochi anni dopo l’epoca di Daniele – e ricordiamoci che è possibile che Daniele fosse ancora in vita durante questo periodo – è stato prodotto un testo scritto in cuneiforme che contiene svariate parole in aramaico scritte in cuneiforme, tra cui la parola terra. Bene, anche in quel documento troviamo scritto ‘ar’a’ piuttosto che ‘ar’ka’. Questo dimostra che questa ortografia era diffusa all’epoca e si tratta di un documento scritto al massimo pochi anni dopo la morte di Daniele. Questa ortografia era tanto diffusa, in altre parole, da essere adottata in un altra lingua con quella forma.

Ora non intendo dare l’impressione che la questione non presenta difficoltà, senz’altro ci sono delle difficoltà, ma credo che possiamo dire onestamente che non c’è nulla nella forma di aramaico o di ebraico presente in Daniele che possa escludere una paternità databile al sesto secolo avanti Cristo. Quindi che Daniele sia stato l’autore. E’ anche probabile che i manoscritti di Daniele che abbiamo sono a loro volta delle copie di copie precedenti. E che possono esserci state revisioni ortografiche e modifiche, questo è molto probabile. Tu ed io, quando traduciamo la bibbia, usiamo le regole ortografiche correnti ai nostri giorni e non l’ortografia di un altro secolo. E’ una cosa più che naturale. Sappiamo che in Genesi, in un versetto il nome Dan viene sostituito per il nome più antico Leach. Questo non è un errore nella bibbia, significa semplicemente che gli scribi hanno aggiornato il testo; ed è possibile che abbiano fatto questo anche con l’aramaico di Daniele. Comunque la mettiamo, sono fermamente convinto che esiste motivo per cui l’aramaico presente nel libro di Daniele non potrebbe essere stato scritto per mano di Daniele stesso. Sono emersi dei trattati scritti in aramaico, alcuni risalenti all’ottavo secolo avanti Cristo; cioè ben 200 anni prima di Daniele. E lo studio di questi trattati è molto interessante. Stanno modificando, fino a un certo punto, quanto crediamo di sapere della lingua aramaica.

Sono dunque incoraggiato nella convinzione che non esiste motivo per cui dovrei dire a causa del linguaggio usato nel libro che Daniele stesso non potrebbe essere stato l’autore. Ora credo che conoscete i ragionamenti presentati contro questa tesi; credo di avere lavorato con tutto questo materiale e credo che possiamo dire questo in tutta verità. Tuttavia, queste non sono cose che si possono approfondire in una relazione per i pubblico generale, è la sorta di cosa, alla quale, se Dio risparmierà la mia vita, vorrei dedicare del tempo per affrontare per iscritto questo tema. Credo che non abbiamo nulla da temere in questo riguardo. Ma ci viene anche detto, vedete, che ci sono degli errori storici nel libro di Daniele.

Bene, Daniele presenta sicuramente delle difficoltà, come qualsiasi libro della bibbia e direi qualsiasi testo antico. Uno di questi dilemmi storici lo troviamo nel primo versetto del libro. Dove troviamo scritto che nell’anno terzo di Ioiakim re di Giuda, Nabucodonosor venne e assediò Gerusalemme. Ora esiste un commentario che sostiene che questo primo versetto presenta tre errori storici. Il primo riguarderebbe il nome e la data: il terzo anno di Ioiakim; il problema qui è che al capitolo 25 di Geremia troviamo scritto che Nabucodonosor venne l’anno quarto del regno di Ioiakim. Daniele dice l’anno terzo, Geremia dice l’anno quarto, e dunque ci dicono che qui c’è un errore ed è stato Daniele a commettere l’errore.

Ricordiamo che al capitolo nove di Daniele troviamo scritto, ‘io Daniele tentavo di comprendere nei libri il numero degli anni di cui il Signore aveva parlato al profeta Geremia…’ Allora Daniele stava leggendo le parole di Geremia, e in particolare stava leggendo questo brano, perché è sempre nel capitolo 25 che Geremia parla dei 70 anni di cattività. La cattività era quasi terminata, i 70 anni erano passati, e Daniele desiderava sapere tramite Geremia cosa avrebbe fatto ora Dio. Daniele stava studiando il libro di Geremia. Bene, se l’autore stava studiando Geremia, avrebbe letto che Nabucodonosor venne l’anno quarto di Ioiakim. Perché dunque ci parla dell’anno terzo di Ioiakim?

Mi sembra evidente che questo sarebbe stato un errore parecchio grave se stava leggendo le parole di Geremia. Ecco fresca nella sua mente la frase ‘anno quarto’, eppure scrive anno terzo. Per quanto mi riguardo non riesco a capire una cosa del genere, l’unico modo per evitare questa difficoltà e dare per scontato che il libro di Daniele nasce da una serie di frammenti distinti – e c’è chi sostiene una cosa del genere – che sarebbe poi stati raccolti successivamente. Forse così uno schiverebbe questo dilemma supponendo che il redattore non apporto nessuna correzione perché non aveva mai letto Geremia. Se uno vuole credere questo di Daniele, va bene, non credo che si può montare una gran difesa per una supposizione del genere, ma uno deve immaginare una situazione del genere. Ma poi esiste una difficoltà psicologica, perché un autore che ha letto il libro di Geremia e ha visto che si trattava dell’anno quarto scriverebbe poi l’anno terzo? Quale sarebbe lo scopo di un cambiamento del genere? Era forse una di quelle persone che intendeva volutamente creare confusione? Non credo proprio.

Numerose spiegazioni sono state fornite e credo che molte hanno qualche merito, ma secondo me Daniele scriveva dal punto di vista babilonese, usando la cronologia babilonese, il loro metodo per contare gli anni, e non il metodo Palestinese. Ora in Palestina si usava spesso il metodo babilonese e esistono degli scambi che sono piuttosto frequenti. Segue che, quando Daniele parla dell’anno terzo, in realtà intende la stessa data di cui parla Geremia quando dice l’anno quarto. Infatti, per il metodo babilonese, l’anno dell’incoronamento veniva considerato semplicemente anno di incoronamento. L’anno che seguiva, quello che tu ed io chiameremo anno secondo, era per il metodo babilonese l’anno primo. Allora con questo schema, quello che Daniele chiama anno terzo di Ioiakim sarebbe per il metodo usato da Geremia l’anno quarto di Ioiakim.

Ora questa non è una soluzione priva di difficoltà, ma trovo che sia la spiegazione che meglio corrisponde un po a tutta la cronologia del libro di Daniele. Come minimo è utile quanto qualsiasi altra spiegazione per capire la difficoltà. Sono contento che il Prof. Wiseman della University of London ha scritto recentemente un articolo su questo tema in difesa di questa interpretazione. Se possiamo dire questo allora possiamo dire che Daniele non ha commesso alcun errore. Per quanto riguarda Geremia, non credo che abbia usato sempre lo stesso metodo per contare gli anni, perché anche Geremia sembra usare certe volte il metodo babilonese. Ad ogni modo, non credo che ci sia una contradizione nel metodo usato da Daniele e Geremia per contare gli anni del regno di Ioiakim.

Poi c’è il secondo di questi errori, il fatto che Nabucodonosor viene definito re mentre in realtà a questo punto sarebbe solo stato il principe erede e sarebbe diventato re di li a poco. Sappiamo da Giuseppe Flavio e ora grazie alle cronache dei re babilonesi possiamo sapere più riguardo a queste incursioni di Nabucodonosor. Pare che Nabucodonosor lasciò la battaglia di Carchemis per scendere a Gerusalemme ed è stato richiamato in fretta a casa per la morte di suo padre, quindi divenne re.

Ma possiamo dire che Daniele ha sbagliato in questo caso? Non ha forse usato il titolo proletticamente? E’ una cosa che noi facciamo del continuo. Tu ed io diciamo che Abramo uscì dalla Mesopotamia, ma le cose non sono andate così. In quel epoca il territorio non si chiamava Mesopotamia, o mi sbaglio? Il nome Mesopotamia è stato applicato solo in un epoca successiva, qualche secolo dopo, ma abbiamo forse detto qualcosa di sbagliato? Forse sarebbe più preciso dire che Abramo lasciò Ur dei Caldei oppure Caran. Abramo uscì dalla terra oggi chiamata Mesopotamia. Similmente, quando parliamo dell’infanzia di un grande personaggio politico e usiamo il suo titolo. Abbiamo forse commesso un errore? Noi usiamo quotidianamente dei titoli in senso prolettico, perché Daniele non potrebbe fare lo stesso?

Supponiamo che Daniele avesse usato la formula preferita da alcune di queste persone e avesse scritto, ‘nell’anno terzo di Ioiachim, Nabucodonosor, che non era ancora re ma solo il principe erede e sarebbe divenuto re a distanza di un anno con la morte di suo padre, tornò in Mesopotamia.’ Supponiamo che Daniele avesse scritto così, magari avrebbe accontentato qualche studioso che ama le tesi di laurea e vuole questo livello di informazione, ma non è questa la natura del testo biblico e non credo che sarebbe stato molto utile scrivere così. Per di più non è necessario, si tratta semplicemente del uso prolettico.

Ora la terza accusa è che Daniele avrebbe detto che Nabucodonosor catturò Gerusalemme, mentre in realtà Gerusalemme è stata catturata solo dopo qualche anno nel secolo successivo, ma non è proprio questo il senso del versetto. Le cronache dei re Caldei dimostrano che questi re hanno fatto più incursioni verso l’occidente e possibilmente, infatto direi che non c’è dubbio su questo punto, Nabucodonosor riuscì a portare via Ioiachim e degli altri ma Ioiachim tornò successivamente. Nessuno ha dimostrato che queste affermazioni di Daniele non corrispondono ai fatti.

Passiamo poi all’uso del termine Caldei, anche questo sarebbe un errore perché ci dicono che nel sesto secolo avanti Cristo non venivano chiamati così, eppure sembra che Erodico li chiama Caldei nel secolo successivo, quindi se Daniele scrisse il suo libro al termine del periodo babilonese, dopo la conquista da parte dei Persiani, questo spiegherebbe la presenza di un gran numero di usanze Persiane nel libro.

Ma l’errore principale, suppongo, è il riferimento a Dario il Medo. Ricordiamo che Dario il Medo viene presentato al capitolo cinque. Ci dicono che questa è una gaffe storica di primo ordine, che esiste una confusione con Dario Hystaspes o Dario il Grande, o qualcun altro, e che non ci fu mai un Dario il Medo. Bene, un libro è stato scritto che vuole dimostrare che Dario il Medo non corrisponde ad alcun personaggio storico noto. Quindi questo sarebbe il grande errore del libro di Daniele. In fatti, c’è chi ha voluto dimostrare l’unità di questo libro proprio in virtù della coerenza con qui presenta questi riferimenti errati a Dario il Medo in tutto il libro. In risposta direi questo, anche se non fosse possibile riconoscere Dario il Medo, ciò non dimostra che non è veramente esistito. Se uno si informa sui re dell’Egitto, quanti dei nomi si possono riconoscere? Spesso esiste un unico riferimento a queste persone. Questo dimostra forse che non sono mai esistite, che sono il frutto dell’immaginazione di qualcuno? Per niente. Il semplice fatto che tu e io non sappiamo chi fosse Dario il Medo nella storia non significa che non è mai esistito.
Eppure di recente il professore John Whitcomb, un mio caro amico alla Grace Theological Seminary, ha scritto un libro in cui tenta di capire chi fosse Dario il Medo. Nel libro evidenzia due persone vissute in quel periodo e una di queste corrisponde molto bene ai requisiti per essere definito Dario il Medo. Trovo molto convincente la sua presentazione e il professore Donald Wiseman della University of London ha presentato forti ragionamenti a dimostrazione del fatto che Dario il Medo non sarebbe altro che un secondo titolo usato per Ciro il Grande, quindi da queste due posizioni vediamo che esistono delle buone alternative. Sinceramente non so chi dei due ha ragione, ma ammiro questi uomini per l’impegno che hanno dimostrato nel cercare una risposta a questo problema ed entrambe hanno presentato dei ragionamenti persuasivi al punto che nessuno può più dire che parlare di Dario il Medo sia un errore.

Ora il ragionamento sarebbe questo: Daniele nomina un certo Dario il Medo, ciò richiede l’esistenza di un impero dei medi successivo alla caduta della Babilonia, mentre in realtà non è mai esistito un impero separato dei medi in quel periodo, solo successivamente e per pochi anni si sarebbe creato un impero simile. Dunque, dal momento non è mai esistito un impero indipendente dei Medi, l’autore ha commesso un grave errore. I quattro regni secondo la critica sarebbero dunque la Babilonia, poi la Media, poi la Persia e infine la Grecia.

Questo sarebbe lo schema sbagliato creato dall’autore del libro di Daniele, dimostrabile dal fatto che ci parla di questo Dario il Medo. Ma la logica di questo ragionamento non è valida. Durante la seconda guerra mondiale un austriaco di nome Arthur Seyss-Inquart è stato elevato a governo dell’Olanda da parte dei tedeschi. Questo non significa che l’Olanda è stata governata da un regno austriaco in quel periodo. Non credo che Hitler avrebbe condiviso un interpretazione del genere. No, la logica non è valida. Il semplice fatto che l’uomo fosse austriaco non significa che sia esistito un impero o un regno austriaco, vero? Nabucodonosor ebbe una moglie che veniva dalla Media, ma non per questo i Medi governavano su Nabucodonosor. Forse su questo punto si potrebbe discutere, magari dovrei fare attenzione con le parole in questo caso. Tuttavia, il semplice fatto che una persona ha una determinata nazionalità non significa che quella nazione è salita al governo, quindi dire che Dario il Medo è salito sul trono non richiede l’esistenza di un impero indipendente dei Medi. Non è una necessita logica. Credo che sia sbagliato insistere che sia esistito questo impero indipendente dei medi. Ed è quindi altrettanto sbagliato dire che i regni descritti da Daniele sono prima la Babilonia, poi un impero indipendente dei medi, poi l’impero Persiano, e poi l’impero Greco, eppure troviamo questa sequenza in tanti commentari. Ma questa logica è forse valida? Non stiamo forse inserendo una nostra opinione nel libro di Daniele?

Abbiamo visto che esistono personaggi che potrebbero equivalere a Dario il Medo. Non c’è quindi un errore quando Daniele nomina Dario il Medo. Se uno vuole insistere su questo punto dovrebbe, per essere coerente, insistere che esiste un errore ogni qual volta nei documenti egiziani o assiri viene nominato qualche re di cui non sappiamo altro ma nessuno vuole sostenere una tesi simile. Sono state fatte numerose scoperte riguardanti il capitolo cinque di Daniele, quel capitolo che sarebbe colpevole di questa gaffe storica riguardante Dario il Medo, scoperte che dimostrano quanto questo capitolo risale al periodo babilonese. Le usanze dei Persiani, che Daniele avrebbe conosciuto bene se avesse scritto dopo la caduta, o poco prima della caduta di Babilonia, quando queste usanze sarebbero giunte a Babilonia sono anche presenti in questo capitolo.

L’idea di un re, per esempio, che siede su una piattaforma elevata per mangiare in presenza dei suoi nobili era un usanza di quell’epoca. C’è poi il fatto che Daniele viene elevato a terza persona nel regno. Questo è un elemento molto particolare, non so come uno potrebbe aver indovinato una cosa del genere, perché in realtà Baldassare non era la prima persona del regno, la prima persona era Nabonide che aveva concesso tutti i doveri del regno a Baldassare, eccetto la celebrazione dell’anno nuovo. Dunque era proprio naturale che Daniele dovette essere terzo: la sequenza sarebbe stata Nabonide, Baldassare e Daniele. Comunque la mettiamo, sia che Daniele fosse uno di tre o terzo nel regno, vediamo quanto è straordinariamente precisa questa affermazione, una cosa che nessuno che non fosse a conoscenza dei fatti avrebbe potuto indovinare.

Ma ci dicono che è sbagliato dire che Baldassare fosse re. Ho parlato con il professore Wiseman di questo e lui non riusciva a capire il senso di questa obiezione, lo stesso vale anche per me. Sappiamo dai documenti che il titolo di re veniva applicato in numerosi modi diversi; esistevano re sopra determinata città, re di stati e un gran re che governava su un certo numero di re inferiori. Bene, secondo le tavole contrattuali, Nabonide aveva affidato il regno (sharutam) a Baldassare. Baldassare, dunque, viene definito ‘sharu’ re, non troviamo questo titolo nelle tavolette babilonesi ma sarebbe legittimo come titolo. Nelle tavolette babilonesi viene definito ‘mar shari’ figlio del re, ma è naturale pensare che gli ebrei lo avrebbero chiamato re dal momento che sedeva sul trono, svolgeva le funzione di un re, era con lui che dovevano trattare. Come possiamo dire che Daniele si è sbagliato in questo caso?

Osservate il capitolo tre di Daniele e troverete che le misure sono presentate con il sistema sessagesimale, questo era il sistema usato nell’antica babilonia. Al capitolo sette di Daniele notiamo quanto il grande animale, il leone con le ali di un aquila, fosse adatto a rappresentare la Babilonia visto che il leone e l’aquila erano simboli della babilonia e viste le bestie alate presenti sui monumenti della Babilonia. Come è possibile che un ebreo sconosciuto del secondo secolo avanti Cristo sarebbe stato in grado di inventarsi queste cose e presentarle così come le troviamo in Daniele? Inoltre, la rappresentazione di Nabucodonosor che osserva la grande Babilonia che ha costruito lui stesso è perfettamente concorde che il modo in cui Nabucodonosor stesso si rappresenta nelle sue iscrizioni.
Vorrei chiudere ora con un unico problema che ci viene presentato oggi. Ora ci dicono che i rotoli del mar morto dimostrerebbero un errore nella descrizione della follia di Nabucodonosor presentata in Daniele. Questo non sarebbe mai successo a Nabucodonosor, ci dicono, riguarda piuttosto Nabonide, visto che i rotoli di Qumran applicano questo testo a Nabonide. Bene, qui diventa palese la preferenza della critica. Se la bibbia dice una cosa e qualche altro documento dice il contrario, bene quel secondo documento ha ragione e la bibbia ha torto, ipso facto, per molti è questo l’atteggiamento.

Ma sono molto contento che il professore Portious, che ha scritto un commentario piuttosto radicale sul libro di Daniele, non è disposto ad accettare questo ragionamento. Non è forse altrettanto possibile che questi rotoli di Qumran abbiano confuso la tradizione e l’abbiano applicata a Nabonide? Non esiste alcun motivo per preferire questi rotoli a quanto viene affermato nel libro di Daniele, nessun motivo. Quello che viene affermato in Daniele viene presentato in maniera chiara, e questa tradizione la troviamo altrove. Credo che questa tradizione sia stato confusa fino a un certo punto da le affermazioni che riguardano Nabonide, ma se facciamo un confronto dettagliato dei due, il testo di Qumran e il testo di Daniele, vedremo che in realtà non stanno parlando affatto della stessa cosa. Ed è possibile che quanto riportato a Qumran si fosse avverato per Nabonide e che non riguarda affatto Nabucodonosor.

Dico questo solo per quelli che magari sono stati turbati da questo più recente assalto al libro di Daniele da chi dice che la follia di Nabucodonosor in realtà era un evento che riguardava Nabonide. Le cose non stanno così e non abbiamo nulla da temere in questo riguardo. Per chiudere direi che esistono, sì, delle complessità nel libro di Daniele, questo è vero, ma esistono complessità maggiori per quello che la critica ha da dire riguardo Daniele, e che il libro di Daniele è un unità. Ed è nel esaminare i contenuti, nel vedere come questo libro ci indica la figura di Cristo ed il trionfo del regno di Dio sui regni di questo mondo che comprendiamo che le origini di questo libro non sono quelle presentate dalla critica, piuttosto siamo di fronte alla parola rivelata di Dio. Grazie.